DICHTERS GENESUNG
per flauto dolce contralto e clavicembalo / for alto recorder and harpsichord (2003)
dedicato a / dedicated to: Anja Wetzki and Rita Papp - Berlin/Budapest
EDIZIONI SUVINI ZERBONI - MILANO
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pages 1 - 3
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Dichters Genesung prende sia il titolo sia il materiale costitutivo dall'omonimo Lied tratto dall'op. 36 di Robert Schumann, che, senza esplicite citazioni, rappresenta in filigrana il riferimento espressivo ideale del lavoro.
Tale ambito visionario e mutevole viene qui organizzato in tre grandi arcate, che presentano il ritorno di elementi ricorrenti, sottoposti ad un'incessante opera di estremizzazione delle caratteristiche e di ampliamento delle potenzialità in un clima di grande instabilità.
Ad essi vengono via via accostati nuovi materiali, il più importante dei quali è una sorta di pulsazione precisa e costante che, nel corso della terza arcata, si impadronisce progressivamente della scena, dando temporaneamente un orizzonte nervosamente stabile al percorso; è tuttavia un implacabile lavorio di elisioni e distorsioni che, dopo poco, inizia ad aggredire tale regolarità, riportando il brano verso zone di grande aggressività e concitazione.
Il ritorno di un episodio estremamente dilatato porta alla conclusione, segnata dagli accordi immobili del clavicembalo sui quali si disegnano gli ultimi sussulti del flauto dolce.

Dichters Genesung takes both its title and basic material from Robert Schumann's Lied of the same name, op. 36, which, without explicit quotations, provides the ideal point of reference for the expression.
This visionary and changing environment is organized here into three extensive parts, which present the return of recurrent elements, constantly subjected to an extreme exploitation of the potentials offered by their characteristics and possible development against a climate of great instability.
These are joined by new materials, the most important of which is a sort of precise and constant pulsation that, during the third part, progressively gains prominence, temporarily providing the course of the piece with an element of stability; however, after a while this regularity is assailed by an implacable intrigue of elisions and distortions, bringing the piece back towards zones of extreme aggression and excitement.
The return of a long drawn-out episode leads to the conclusion, marked by static chords on the harpsichord above which the recorder utters its last whispers


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